“Il denaro che si ha è lo strumento della libertà. Quello che si insegue è lo strumento della schiavitù.”
Jean Jacques Rousseau
Il delitto di autoriciclaggio è la nuova fattispecie autonoma che il legislatore ha inserito nel sistema penale incasellandolo in tal modo quale autonoma ipotesi delittuosa.
Tale ipotesi è disciplinata dall’art. 648 ter 1 del codice penale che la regola espressamente.
La nuova norma punisce colui che dopo aver commesso o concorso a commettere un delitto non colposo impiega, sostituisce o trasferisce denaro beni o altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
Il richiamo fatto dalla norma alla necessità che la condotta di autoriciclaggio sia concretamente idonea ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, del bene o delle altre utilità introduce un freno ad una possibile interpretazione generalizzata che potrebbe assegnare rilevanza penale alla semplice modalità di sostituzione, trasferimento o impiego.
L’autoriciclaggio investe una serie di condotte sia economiche che finanziarie. Il richiamo all’idoneità della condotta ad ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa dei denari, dei beni o delle altre utilità, ipotizzerebbe che il semplice versamento del profitto del reato presupposto non possa integrare il delitto di autoriciclaggio, sebbene produca utilità economica, perché la condotta è manifestamente inidonea ad ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro.
Le probabili difficoltà interpretative, dell’ipotesi in esame, riguarderanno il tema dei reati tributari il cui profitto potrà essere oggetto di autoriciclaggio da parte dell’autore del reato presupposto.
La nuova legge penale tributaria, introdotta nel 2000, associa il profitto del reato tributario con l’imposta evasa, ossia con il risparmio fiscale.
Sebbene sia vero che il risparmio fiscale possa rientrare nel concetto di altre utilità cui fa riferimento la norma risulterebbe difficile, ma non eccessivamente impossibile, individuare ed isolare nel patrimonio del contribuente il provento rappresentato dall’illecito risparmio fiscale. Tale difficoltà è data dal fatto che tra la condotta che integra il reato tributario, ad esempio la dichiarazione infedele, consistente nella mancata annotazione nelle scritture contabili obbligatorie dei ricavi percepiti e la consumazione dello stesso che si perfeziona con la presentazione della dichiarazione, intercorre un determinato lasso di tempo.
In conclusione, la determinazione del profitto del reato, derivante dall’imposta evasa cioè nel risparmio fiscale, potrebbe prestarsi alla più arbitraria interpretazione sia da parte degli organi accertatori, deputati alla trasmissione all’autorità giudiziaria della notizia di reato sia da parte degli organi inquirenti.
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