Obiezione fiscale

“Io affermo che quando una nazione tenta di tassare se stessa per raggiungere la prosperità è come se un uomo si mettesse in piedi dentro un secchio e cercasse di sollevarsi per il manico.” Sir Winston Churchill

L’Obiezione Fiscale è la definizione giuridicamente più appropriata e rilevante rispetto a: Disobbedienza, Protesta, Resistenza o Sciopero quale risposta all’elevata pressione del fisco.

Queste ultime sono un gesto di ribellione consistente nel rifiuto di pagare le tasse allo Stato in opposizione a determinate politiche del governo, sia da un punto di vista civile che economico. Il confine con l’obiezione è sottilissima , ovvero in opposizione allo Stato in quanto istituzione in sé, contestato e non più riconosciuto.

“Rifiutarsi di pagare le tasse è uno dei metodi più rapidi per sconfiggere un Governo” Ghandi

Il primo caso riconosciuto di resistenza fiscale avvenne nel I secolo a.C., quando degli zeloti residenti in Giudea si rifiutarono di pagare le tasse imposte dall’Impero romano.
La forma più ricordata di manifestazione fiscale contro uno Stato è stata quella dei coloni inglesi posto in essere contro lo Stamp Act approvata dal Parlamento di Londra il 22 marzo del 1765  riguardante i libri, i giornali e gli stampati in genere: “No taxation without representation” (nessuna tassazione senza rappresentanza) che riprende quanto inserito nella Magna Charta Libertatum “No scutage not aid shall be imposed on our kingdom, unless by common counsel of our kingdom” (nessuna imposta può essere applicata dal Re se non è stata approvata dal concilio del Regno), principio ripreso dalla nostra Costituzione all’art. 23 con la seguente formula : “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.
Altre forme di contestazione fiscale, sono state quelle dei liberali contro Carlo V di Francia, dei cristiani anarchici durante la seconda guerra mondiale ma anche, quale tecnica di protesta non violenta, sono del Mahatma Gandhi, di Martin Luther King e dei quaccheri

La dottrina che si è occupata dell’obiezione fiscale, tentando di fornire una definizione della stessa, è giunta ad identificarla nel rifiuto di contribuire con il proprio denaro alla applicazione di leggi, o all’attuazione di comportamenti della pubblica amministrazione, che la coscienza ritenga iniqui.
La protesta promossa dagli obiettori fiscali, infatti, si manifesta in concreto nel mancato versamento diretto nelle casse dello Stato di una percentuale dell’imposta sul reddito delle persone fisiche corrispondente alla quota del gettito complessivo del medesimo tributo che, nel bilancio dello Stato, viene destinato al finanziamento di particolari spese ritenute appunto contrarie alla propria coscienza.
É opportuno evidenziare che, in ogni caso, l’obiezione fiscale è considerata dal nostro ordinamento un reato in quanto contraria al principio di integrità del bilancio statale. Per tale motivo l’obiettore fiscale non subisce conseguenze penali per il suo comportamento, si differenzia da altre discutibili forme di rivolta fiscale per affermare una scelta di coscienza .
L’omesso versamento delle imposte sui redditi, infatti, non costituisce reato; unica eccezione è l’ipotesi del delitto di malversazione del sostituto d’imposta, previsto dall’art. 2, ultimo comma, della legge n. 516/1982 che punisce con pene severe chiunque non versa all’erario le ritenute effettivamente operate sulle somme pagate. Conseguenze di tipo penale possono, eventualmente, configurarsi solo in capo al soggetto che inciti tale condotta, per la ricorrenza del delitto di istigazione a disobbedire alle leggi di ordine pubblico previsto dall’art. 415 c.p. Ma tali aspetti saranno esaminati in maniera più approfondita nel corso del presente lavoro.
In particolare, nell’esperienza italiana l’obiezione fiscale si è manifestata, quasi esclusivamente, come obiezione fiscale alle spese militari: i contribuenti hanno usato, e tuttora continuano ad usare, questo strumento di rivolta essenzialmente quale mezzo di contestazione della spesa per gli armamenti sostenuta dallo Stato. Non sono tuttavia mancati casi, anche se solo sporadici, in cui questa forma di disobbedienza civile ha avuto ad oggetto la contestazione di spese statali diverse da quelle militari, e precisamente quelle a favore dell’aborto.
Altre obiezioni fiscali, almeno statisticamente, non rilevano. In effetti la protesta fiscale in questione, costituendo un fenomeno pur sempre riconducibile a quello più generale della obiezione di coscienza, è astrattamente idonea a porre in contestazione qualsiasi spesa dello Stato, ovvero potrebbe essere realizzata operando la riduzione, in sede di autoliquidazione e successivo versamento, di imposte anche diverse dall’Irpef.
Con tali considerazioni si intende mettere in evidenza che nonostante in Italia questa forma di protesta sia stata utilizzata quasi esclusivamente per contestare la politica al riarmo e si sia manifestata soltanto attraverso una autoriduzione dell’Irpef, le fattispecie astrattamente ipotizzabili potrebbero essere così numerose da finire per ricomprendere, in realtà, una vasta gamma di motivazioni che spingono l’obiettore, in modi altrettanto vari, a non adempiere all’obbligo fiscale.

La dottrina che si è occupata della questione dell’obiezione di coscienza “fiscale” non ha mancato di evidenziare l’esistenza di tratti distintivi tra il mancato versamento diretto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche per obiezione fiscale e il fenomeno dell’evasione fiscale.
In particolare, gli obiettori fiscali non sono assimilabili agli evasori fiscali per il fatto che questi ultimi si sottraggono al pagamento del tributo senza che le motivazioni di questa omissione assumano alcuna rilevanza; l’obiezione fiscale, invece, viene attuata allo specifico fine di non contribuire a determinate spese dello Stato, in genere le spese militari, per manifestare il proprio dissenso dalla politica statale.
La condotta dell’evasore si differenzia, rispetto a quella dell’obiettore, sotto due distinti profili: sotto il profilo soggettivo il primo, al contrario del secondo, persegue finalità “altruistiche” e non mette in discussione il diritto dello Stato alla riscossione dei tributi; sotto il profilo oggettivo, inoltre, mentre il primo trattiene presso di sé una parte del denaro che dovrebbe versare, il secondo si spoglia di tutto quanto costituisce il suo debito d’imposta, procedendo al versamento delle somme ad enti aventi ad oggetto il perseguimento di finalità opposte a quelle in contestazione.

#waltertroisi

FONTE
Master in Diritto e Pratica Tributaria: l’obiezione fiscale nell’evoluzione giurisprudenziale;
Pierluigi Consorti Profili giuridici dell’obiezione fiscale; e
Studio Rebecca e associati Tasse, la resistenza fiscale non è la soluzione

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