Capacità contributiva

Tutti i regnicoli contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi Art. 25 Statuto Albertino 1848

L’art. 53 è inserito nel titolo IV dedicato ai “rapporti politici”. In questo modo si è inteso sottolineare come la capacità contributiva, l’astratta idoneità di un soggetto a concorrere alle spese pubbliche, esprima, contemporaneamente, un criterio ordinatorio dei rapporti tra consociati e tra consociati e Stato: criterio di salvaguardia dei loro diritti ma, al contempo, fondamento del loro dovere contributivo, alla stessa stregua di altri doveri, come quello di voto, il dovere di difesa della Patria, il dovere di fedeltà alla Repubblica e di obbedienza alla Costituzione e alle leggi.

Il primo comma dell’art. 53: “ Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” trova il suo antecedente nell’art. 25 dello Statuto Albertino, il quale prevedeva che: “ i sudditi contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato” e racchiude in sé diversi importanti principi: la capacità contributiva (quì in esame), l’universalità dell’impostatutti debbono concorrere alle spese pubbliche” , infine la progressività del sistema tributario “ l’imposta ed il suo ammontare, nel complesso, cresce in misura più che proporzionale rispetto alla base imponibile”. 

La locuzione non formula un giudizio concreto sulla effettiva possibilità, da parte del singolo, di contribuire ovvero di pagare il tributo, ma solo fornire un criterio ispiratore generale in base al quale il legislatore deve qualificare la prestazione coattiva facendo riferimento a una situazione economicamente suscettibile di valutazione.
La sentenza n. 45 del 4 giugno 1964 della Corte Costituzionale stabilì, definendola, che: “per capacità contributiva si deve intendere l’idoneità economica del contribuente a corrispondere la prestazione coattiva imposta”.

Il principio costituisce contemporaneamente un presidio affinché i contribuenti siano tassati solo per fatti economici espressivi di capacità contributiva: la commisurazione del carico tributario su ciascun soggetto deve essere parametrata alla sua condizione individuale, senza che su quella commisurazione possano incidere ricchezze da altri prodotte. La dottrina dominante, sostanzialmente rimasta invariata, è concorde nel ritenere la capacità contributiva come l’idoneità economica dell’individuo a concorrere alle spese pubbliche, la quale si esprime attraverso indici economicamente valutabili quali: il patrimonio, il reddito, il risparmio, la spesa effettuata per consumi e/o investimenti, i trasferimenti di ricchezza e/o beni, le rendite finanziarie; fenomeni, cioè, sempre suscettibili di una valutazione economica oggettiva. In sintesi oltre ad essere criterio di misurazione del prelievo fiscale di ricchezza, esprime anche anche il presupposto di legittimità giuridica dell’imposizione tributaria, allacciandosi strettamente al principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” Pertanto le prestazioni tributarie devono gravare in modo uniforme su tutti i soggetti che manifestano la stessa capacità contributiva ed in modo diverso, secondo il criterio della progressività, su soggetti che hanno manifestazioni di ricchezza differenti. Gli indici di capacità contributiva sono: il patrimonio = stock di ricchezza determinato da un flusso di reddito, il reddito = quantità di ricchezza destinata al consumo, al risparmio o vvero agli investimenti, il consumo = differenza della ricchezza non destinato al risparmio (consumo futuro), ma anche: la spesa complessiva, gli incrementi patrimoniali e gli incrementi di valore del patrimonio non legati a un’attività del soggetto passivo.
In presenza di questi indici, la prestazione tributaria trova la sua giustificazione nella mera possibilità economica (effettiva e reale, e non presunta o fittizia) di concorrere all’interesse collettivo, in ragione dell’esistenza di una ricchezza superiore alle esigenze dell’economia individuale.

Nel corso degli anni la dottrina ha elaborato tre diverse teorie:

  1. la teoria del corrispettivo secondo la quale l’imposizione può considerarsi equa quando sussiste equivalenza tra le imposte ed i pubblici servizi ossia quando vi è equivalenza tra il vantaggio conseguito da un cittadino e quello che, mediante l’esazione dell’imposta, riceve lo Stato; ( Rossi – Garnier);
  2. la teoria del sacrificio sostiene che il contribuente a causa dell’imposizione risente di un sacrificio: stabilire il limite del carico tributario oltre il quale il sacrificio richiesto per ciascun contribuente sarebbe non equo in ragione delle proprie responsabilità economiche. Al fine di stabilirlo sono stati elaborati tre differenti principi: 1) il p. del sacrificio uguale: l’imposta deve comportare una sottrazione uguale di utilità tra contribuente e contribuente, in modo da far risentire loro una stessa dose di sacrificio; 2) il p. del sacrificio proporzionale: l’imposta deve applicarsi in modo da comportare un sacrificio proporzionale all’utilità totale che ciascun contribuente consegue dal complesso della sua ricchezza. La teoria si attua attraverso l’imposta progressiva; 3) il p. del sacrificio minimo collettivo: l’imposta è equamente distribuita quando tutti i contribuenti considerati nel loro complesso, la somma di tutti i loro sacrifici risulti la minima possibile;
  3. la teoria della capacità contributiva: il Costituente ha ritenuto di non aderire in maniera specifica ad una delle teorie esposte, ma ha optato per una soluzione di compromesso, ricorrendo appunto alla cosiddetta teoria della capacità contributiva. Ciò perché le teorie esposte non riescono a stimare la giusta imposta dovuta in quanto è estremamente difficile stabilire un rapporto tra spese e vantaggi, in relazione ad un singolo individuo e perché anche a parità di ricchezza la penosità e, quindi il sacrificio avvertito dal contribuente X può essere differente da quello avvertito dal contribuente Y. In tal modo il costituente ha voluto: sia escludere, in via assoluta il ricorso al tributo al fine di realizzare finalità politiche o discriminative, che orientare il legislatore nella: costruzione, definizione, determinazione della fattispecie tributaria che deve essere rispettosa, coerente, congruente, adeguato con il fondamento economico del tributo.

Fonti:

Francesco Tesauro – Compendio di Diritto Tributario – ed. IV, Torino 2010; Gianni de Luca – Diritto Tributario ed. XXIV, Napoli, 2010; Enrico De Mita – Principi di Diritto Tributario ed. IV,Milano, 2004.

Principio fatto proprio dal secondo comma dell’art. 53 della Costituzione: “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

Annamaria Morlacchi Scienza delle Finanze e Diritto Finanziario ed. XX , Napoli, 2010.

Le considerazioni finali del Presidente della Corte di Cassazione Giovanni Maria Flick, in occasione dell’Udienza straordinaria del 28 gennaio 2009.

La capacità contributiva nell’ordinamento tributario italiano alla luce della recente giurisprudenza della Corte Costituzionale: principio solidaristico o teoria del “beneficio” ? del Dr Franco Castellucci

#WalterTroisi

Fonti: Treccani on line, Bankpedia e Dirittoeconomia

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